Il bello di un musical è che puoi smembrarlo e analizzarlo sotto tanti punti di vista: filmico, narrativo, concettuale, musicale. Nel dettaglio, il bello di smembrare un musical come il "Rocky Horror" è quello di avere per le mani del materiale illustre.
Vero, certe tematiche allora dirompenti (come l'iniziazione al sesso libero o le giarrettiere del protagonista Frank-n-Furter) ora sembrano acqua fresca: ma la sua potenza visiva è rimasta intatta, e ha generato un culto che non può essere ignorato — e che anzi merita di essere riletto e ricompreso.
Trentacinque anni dopo la sua uscita nelle sale, Aldo Fresia sceglie di farlo seguendo i testi delle canzoni: ma il suo approccio non si riduce a un semplice commentarium riga-dopo-riga. Tutt'altro.
Nel 1964, Susan Sontag depone sulla scacchiera del pensiero contemporaneo un pezzo particolarmente forte: il camp. In soldoni, si tratta più di un atteggiamento che di una teoria — un modo complesso di giocare con la realtà che comprende satira, libertà e sensibilità all'artificio.
E come scrive Fresia, con il suo film Richard O'Brien "mette l'artificio in primo piano senza preoccuparsi di nasconderlo". Accumula una quantità esorbitante di riferimenti (da Mary Shelley ai fumetti anni '30, dal glam rock a una serie di classici del cinema) in parte liberandoli della loro patina, e in parte iniettandovi un nuovo significato.
Sì, perché sarebbe un errore considerare il "Rocky Horror"— così delirante e smaccatamente kitsch — come una parodia fine a se stessa. Perderemmo non solo i suoi aspetti sociali (come la critica alla repressione sessuale), ma soprattutto la sua carica eversiva, il sostrato poetico che lo accompagna.
Come spiega Christopher Isherwood, l'altro teorico seminale del camp, "si tratta di esprimere ciò che è fondamentalmente serio in termini di umorismo, di artificio, di eleganza".
Dietro le giarrettiere di Frank-n-Furter, insomma, si apre davvero un mondo.
Ma quale mondo, di preciso? Per ricostruirlo, Fresia ripete a livello concettuale l'operazione di O'Brien: film camp, saggio camp — roba per palatini fini ma dallo stomaco forte. Avanzando nella lettura, ci si accorge che il commento ai testi è quasi una scusa per mille divagazioni diverse che saltano dalla letteratura al cinema alla filosofia pop. Invece di dare ordine al labirinto, Fresia preferisce abbracciarlo, limitandosi a mettere in luce ogni suo particolare.
Rivediamo così il matrimonio degli sposini protagonisti, la mitologica entrata in scena di Frank-n-Furter ("I'm just a sweet Transvestite / From Transexual, Transylvania") e la creazione dell'uomo perfetto, il puro oggetto sessuale Rocky. Rileggiamo rossetto, danze e deliri vari come qualcosa di divertente, ma non solo, e di profondo— ma non troppo.
Di canto in canto il lettore (e lo spettatore) viene sorpreso da un finale che mette in discussione qualunque forma classica di musical. Nessuna risoluzione, nessun semplice lieto fine, bensì un "lost in meaning" che lascia tutto sospeso: ma che fa anche piazza pulita del moralismo anni Cinquanta, bersaglio ironico dell'intero film. Insomma — dopo aver attraversato le acque tentatrici del "Rocky Horror", ci si può sentire molto spaesati, ma anche ferocemente liberi.
L'incubo del titolo si risolve così in una sorta di inquieta vittoria: dove l'aggettivo è per gli indecisi, e il sostantivo per chi se la gode.
Rocky Horror Picture Show. Erotic nightmare
di Aldo Fresia
Arcana, pagg. 222, 14,50 euro
http://www.rockyhorroritalianfans.it
